Dato che il libro di Guido Sgardoli "The Stone - la settima pietra" è uscito da pochissimo, ho deciso di mettere la sua intervista fatta durante Pordenonelegge per prima in modo da farvi conoscere questo libro ^^
D- Abbiamo con noi Guido Sgardoli, autore di "The stone - la settima pietra" edito da Piemme. L'autore non è nuovo a romanzi che parlano di avventure nella narrativa per ragazzi, è infatti anche vincitore di un premio Andersen (per "Il giorno degli eroi" nel 2015 e come miglior scrittore nel 2009). Ha all'attivo molti libri e adesso è arrivata anche questa nuova sfida dove dice di essersi ispirato anche ai grandi romanzieri noir e thriller. Ci racconta qual'è la trama del romanzo e da dove trae ispirazione per questa avventura?
R- Per raccontare gli spunti di questa storia bisognerebbe stare qui un'ora, che è quello che ho fatto durante l'incontro con i ragazzi di Pordenonelegge (avvenuto qualche ora prima) dove per la prima volta ho presentato un libro in questo modo. Ho fatto un vero e proprio backstage audiovisivo in cui ho raccontato trent'anni di libri, film, viaggi, personaggi, serie tv e tutto quello che inconsciamente ha portato a questo libro, che è un omaggio alle cose che mi piacevano da ragazzo fondamentalmente.
Chiaramente i riferimenti come un maestro di nome Stephen King vengono naturali.
La storia parte da una mia passione da ragazzo, quando a 14 anni ho scoperto i siti megalitici. Avevo comprato un libro che parlava dei misteri della magia della terra. In questo libro c'erano le fotografie e gli schemi di Stonehenge, di Carnac in Francia e altri, tutte cose che mi hanno da subito sconcertato e ossessionato. Queste civiltà ci sconcertano e ci ossessionano ancora oggi, come scritto in questo saggio, e io ne sono rimasto folgorato per cui quando sono cresciuto ho cominciato a girare il mondo per vedere questi posti. Naturalmente siccome scrivevo, ho iniziato a 11 anni a scrivere, ho avuto fin dall'inizio l'idea che prima o poi avrei scritto qualche cosa dove c'erano delle pietre che avevano qualche tipo di potere. Si tratta quindi di una storia, dato che io ho 52 anni, che nasce circa 40 anni fa.
Poi è una storia che si è stratificata dalle esperienze e dalla memoria di letture e visioni. Questo non vuol dire che io ho pensato per quarantanni a questa storia, l'ho scritta effettivamente un anno fa, però c'è tutto un processo di formazione avvenuto in tutti questi anni che mi ha permesso di poter scrivere questo romanzo. Quindi non lo so, non sarà forse un capolavoro, però è sicuramente un libro dove c'è tanto di me. Ci sono le mie passioni, mi sono divertito a scriverlo a rileggerlo, e questo l'ho detto anche ai ragazzi stamattina, ed è il libro che avrei voluto leggere alla loro età. Io sono il primo lettore dei miei libri, quindi una storia deve convincere me, pensandomi com'ero alla loro età.
D- Spesso parlando della narrativa per ragazzi avventurosa, si parla spesso di romanzi di formazione. In che senso possiamo parlare di formazione rispetto a questo libro?
R- Nella maggior parte dei romanzi che io scrivo per i giovani adulti, sono romanzi di formazione. Io ho una formazione classica per quanto riguarda la letteratura, quindi penso sempre che la lettura debba mostrare un cambiamento nei personaggi o nelle situazioni. Non mi piace una storia dove il protagonista è uguale dall'inizio alla fine perché non vedo un'evoluzione e non vedo la necessità di raccontare quel pezzo di storia. In un romanzo deve esserci una trasformazione.
Nel nostro caso... non ho detto ancora niente sulla trama... In questo mio ultimo romanzo c'è un'isola, ecco in questo caso riprendo un po' le caratteristiche di King dove le tre peculiarità principali sono sempre quelle: comunità piccole, possibilmente isolate, la lotta tra bene e male e la scelta dell'uomo da quale parte schierarsi, e poi naturalmente i fatti strani ovvero l'oltre reale, quello che non ti aspetti.
A me piacciono molto questi tre aspetti ed ho sempre cercato di infilarli nei miei romanzi, ma mai tutti e tre gli elementi insieme.
Quindi tornando a noi. C'è un'isola irlandese, Paese che amo molto e dove molti dei miei romanzi sono ambientati, dove vive un ragazzo che conosciamo già con dei problemi. Da pochi mesi è morta accidentalmente sua madre e avendo già un carattere chiuso, non sta avendo il giusto supporto dal padre. Il padre è un pescatore che si rifugia tra le birre e la sua barca da pesca e quindi anche il protagonista si chiude ancora di più.
Liam all'inizio della storia è un ragazzo un po' allo sbando e non sa bene da quale parte indirizzare la propria vita. Si trova poi, come spesso accade in queste storie, in una situazione più grande di lui. Sembra che ci sia qualcosa di strano nell'isola, una maledizione. Una maledizione che si rifà ad una vera leggenda celtica di una pietra che è stata creata migliaia di anni prima, incarnando appunto una maledizione scagliata da un dio morente contro gli abitanti dell'isola per non averlo salvato dall'annegamento. Quindi la leggenda è reale ma l'ho manipolata per adattarla alla mia storia.
Come funziona questa maledizione? Viene introdotta quando Liam ritrova un pezzo di pietra accanto al corpo della madre ed un'altro pezzo sotto al corpo impiccato del guardiano del faro dell'isola.
Questi due pezzi sono molto simili ed hanno degli strani disegni sopra. Quando porta a casa il secondo pezzo per metterlo a confronto con il primo, i due pezzi si uniscono con un bagliore azzurro e poi diventa impossibile disgregarli. Questo è il primo passo delle stranezze del libro.
Tutto è collegato ad un circolo di pietre, costruito per contrastare questa pietra che ciclicamente portava l'isola sull'orlo dell'estinzione, in quanto la maledizione si compirà quando finiranno gli abitanti dell'isola. Dovranno pagare, come dice la Bibbia, i padri ed i figli. Però un gruppo di sacerdoti aveva creato sei pietre, che posizionate attorno al monolito principale creassero una specie di contrasto alla forza della settima pietra e queste erano state chiamate, sempre secondo la leggenda, le sei sorelle. Nell'epoca attuale però, dove si ambienta la storia, in questo isolotto disabitato a qualche chilometro dall'isola principale, da che ricorda Liam ci sono solo sei pietre; le sei sorelle. Al centro c'è un buco e quella settima pietra che viene chiamata da tutti "il fantasma" in quanto nessuno l'ha mai vista, non si sa dove sia. E allora Liam comincia a pensare che questi pezzi che sta unendo forse sono i pezzi mancanti che costruiscono la settima pietra. Però che cosa succederà se mai riuscirà a formarla? Il percorso di formazione suo è questo, ma non tanto quello della pietra quanto quello della propria vita. Quindi alla fine, come ogni finale che si rispetti lui dovrà fare i conti con la propria famiglia, sé stesso e la pietra.
D- Perché ha scelto la letteratura per ragazzi?
R- Casualmente. Io ho sempre scritto per la mia età, per esempio a 11 anni scrivevo cose per ragazzini. Poi ho continuato a scrivere e non ho mai smesso, però non pubblicavo. Avevo migliaia di inizi di romanzi, racconti o storie brevi che seguivano la mia crescita. Quindi quando sono diventato grande, mi sono laureato in veterinaria nel frattempo, lavoravo, ho avuto un figlio, etc.. e scrivevo racconti per adulti.
Ho provato all'inizio a pubblicarli su riviste specializzate, ma non avevo un libro in piedi. Questi racconti che ho scritto, sono stati pubblicati tutti ed ai concorsi a cui partecipavo a volte ho anche vinto primi o secondi premi. A quel punto ho pensato che avrei potuto pubblicare un libro, che forse c'era qualcosa di buono in quello che facevo. Però l'unica storia finita che io avevo, era una storia che parlava di uno scarafaggio amministratore di condominio che avevo scritto per mio figlio che andava alle elementari. Quando ho dovuto decidere cosa spedire, siccome non avevo romanzi per adulti pronti e volevo battere il ferro finché era caldo, ho spedito questa storia alla Salani. Qui il mio libro venne scelto da Donatella Ziliotto, che ha portato in Italia serie come Pippi Calzelunghe o Harry Potter per citarne un paio, e fu inserito nella collana Gli Istrici. Il primo libro che ho pubblicato è stato appunto "George W. Blatt, amministratore condominiale". A quel punto ho semplicemente continuato in quella che forse probabilmente era la mia vena più congeniale; quella di scrivere per bambini e ragazzi.
D- Da bambino aveva quindi uno stretto rapporto con i libri.
R- Sì per via di mia madre. Io ho letto di tutto ma quelli che mi hanno colpito di più sicuramente London, Verne e in seconda media ho scoperto Poe. Un po' precoce però mi ha affascinato talmente tanto che poi nel giro di due anni ho letto tutto quello che era stato pubblicato in Italia a nome Edgar Allan Poe, poi col tempo al liceo ho affinato le letture. Uno dei primi libri che mia madre mi ha sempre messo sotto il naso è stato il classico "Pel di carota" che non mi ha mai convinto.
Quello che io dico spesso ai ragazzi è l'esempio attivo che invoglia alla lettura. Io, per esempio, ho sempre visto mia madre leggere. Non mi diceva mai di leggere perché probabilmente non avrei letto. L'unico libro che mi ha imposto è stato appunto "Pel di carota" che dopo qualche anno mi è rimasto indigesto.
Però lei leggeva e questo è importante perché è impensabile che oggi i ragazzi arrivino ai libri se i libri non sono neanche nelle case, diventa impossibile. A volte quando facciamo promozione alla lettura in giro per le scuole in Italia, anche le insegnanti ci chiedono di fare qualcosa per invogliare alla lettura. La bacchetta magica non c'è e tutto, secondo me, dipende dalla famiglia e in parte dalla scuola.
Poi io ho un forte spirito competitivo e quando ho cominciato a leggere queste cose mi sono chiesto "ma sei capace di scrivere anche tu una storia?". Le prime non erano belle, ma non mi sono abbattuto e ho studiato gli autori bravi. Ho cercato di copiare, o assimilare le lezioni da quelli bravi. In questo modo sono diventato un lettore perché volevo vedere come i grandi narratori risolvevano i problemi che io avevo nei miei piccoli racconti. I dialoghi, i finali, le aperture. Mi piaceva molto andare in libreria a sbirciare i primi capitoli per vedere come si introduceva il racconto.
Infatti "The stone" - Piemme me lo ha concesso così - inizia in una maniera abbastanza forte, audace. Infatti le prime parole sono quelle di Liam che trova la madre morta su un paio di cesoie e ci fa la descrizione di quello che vede. Un inizio forte, ma che doveva essere così perché Liam ne rimane scioccato.
D- C'è un personaggio a cui è particolarmente affezionato in "The Stone"?
R- Anche qui mi ricollego al discorso di King. In questo romanzo ho un po' voluto omaggiare questo autore e quello che caratterizza i suoi romanzi è il numero impressionante di personaggi che si muovono nelle sue storie. L'ho già fatto in altri libri, ho già tenuto le redini di molti personaggi, e qui mi pare ce ne siano circa 57 che ruotano attorno ai protagonisti, per cui dirne uno non lo so proprio. Tra quelli principali però non credo che ci sia un personaggio che preferisco. D'altronde uno scrittore non deve sempre avere un personaggio di riferimento o che somiglia a lui in ogni libro che fa. Qui direi che non c'è e credo di essere stato abbastanza staccato dalla storia.
D- Parlando della sua vita, come ha detto Lei prima, è laureato in veterinaria, come mai questa scelta se la sua passione era scrivere?
R- La risposta è che non lo so. Semplicemente è capitato che dovessi scegliere una facoltà e mi sono specializzato per avere una clinica per animali. Ho ancora uno studio, o meglio sono ancora socio di uno studio però adesso è più che altro un hobby. Sono rimasto socio quindi ci vado di rado quando non ho nulla da scrivere, durante l'estate per esempio. Adesso non mi sarebbe possibile farlo a tempo pieno perché ci vogliono aggiornamenti continui e via dicendo.
Comunque io dico sempre ai ragazzi: non fatevi dire cosa vorreste fare da grandi, fatelo solamente voi. Sono i sogni dei genitori che ci influenzano, mio padre infatti voleva diventare veterinario e non l'ha potuto fare. In qualche modo è riuscito a ficcarmi questa idea in testa senza che io me ne accorgessi e son finito a fare una cosa che non era mia e che non mi apparteneva. Però per fortuna ho avuto tempo per riprendermi. Bisogna credere nelle cose che si fanno.Ognuno deve poter fare quello che si sente, sennò poi alla fine ci si ritrova con persone frustrate dal proprio lavoro che si lamentano dicendo "ma io volevo fare un'altra cosa". Non è poi facile recuperare a quel punto.
D- Al giorno d'oggi si sentono molti fatti orribili riguardanti i ragazzi, lei come scrittore come si pone rispetto a queste tematiche?
R- A me non piace quello che al giorno d'oggi viene definita la fiction mimetica, cioè una fiction che replica la realtà nei suoi aspetti peggiori. La cronaca, i problemi sociali, che sono i peggiori da accettare ma che alla fine sono quelli con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni.
Io però parto sempre dall'idea che in una storia dove c'è sempre una parte di verità ed una parte di narrazione, quest'ultima deve sempre essere maggiore rispetto alla parte di verità. Questo non significa che poi la storia non sia vera o che non affronti un tema attuale perché c'è troppa narrazione.
Si può affrontare un tema attuale ad esempio prendiamo un tema attuale come i migranti. Lo si può affrontare ad esempio raccontando una storia di animali. Non c'è bisogno di scrivere la storia del ragazzo che arriva col gommone, che vediamo uguale nei giornali o nei telegiornali, cambiandone poi il finale per dare una speranza ed un lieto fine alla storia.
A me questo tipo di narrazione non piace.
Io ho sempre parlato ai ragazzi di tutte le età di tutti i temi anche quelli moderni, ma truccandoli. Mettendo un po' di narrazione in più, ma facendo in modo che quando si spoglia la storia, resta il nucleo che è lo stesso. Ottengo lo stesso effetto ma in modo diverso, ed in questo modo attiro l'attenzione del lettore.
Perché se, con tutto rispetto, io devo andare a comprare il libro della storia di un bambino siriano che arriva col gommone ed è una storia che mi hanno detto cinque minuti prima al telegiornale, io come ragazzo non lo comprerei un libro così. Magari qualcuno sì, gli insegnanti sicuramente.
Magari i ragazzi comprerebbero la storia di un extraterrestre che arriva sulla Terra, ed è uguale. Si tratta sempre della storia di uno che arriva da un altro posto e deve integrarsi.
D- Quindi è un modo per attirare l'attenzione dei ragazzi.
R- Secondo me sì. In questo modo - passatemi il termine - li gabbi un po', li freghi. Gli stai raccontando una storia che sembra altro, che però alla fine se uno ci riflette, se ha la capacità di andare oltre, può fare il collegamento con quello che ha letto o sentito in televisione, quello di cui parlava la maestra a scuola o i genitori a casa.
Preferisco questo tipo di narrativa. Non è che non affronto certi temi, ma ci arrivo in un'altra maniera e credo che sia un metodo, non so se giusto, ma a mio avviso più simpatico per avvicinarli ai libri. Anche perché se i libri replicano la realtà, di immaginazione resta ben poco.
D- "The stone" sarà un libro unico?
R- Sì, è un one shot. Ho scritto anche alcune mini serie, ma ho sempre saputo il limite di libri che volevo scrivere per quelle storie. Questa invece è proprio una storia che si presta ad essere sviluppata in un solo volume.
D- Sta progettando la prossima storia?
R- Sto già lavorando ad un racconto fanta-politico su Napoleone. Una storia scritta a quattro mani che abbiamo appena finito e probabilmente uscirà l'anno prossimo.
D- Dato che la copertina è molto d'impatto, lei dà delle direttive per il design delle copertine o si affida all'editore?
R- Per tutte le case editrici con cui collaboro le copertine vengono scelte dagli editori, dal marketing etc.. Poi però per fortuna io ho sempre avuto la supervisione delle copertine, non ho mai avuto sorprese. Su questa copertina in particolare abbiamo discusso molto. I colori forti e d'impatto li volevo perché la letteratura a cui fa riferimento "The stone", la letteratura degli anni ottanta/novanta, ha soprattutto nei libri originali americani dei colori molto forti. Di solito ci sono il rosso in nero e l'oro con caratteri grandi. Volevo che la copertina richiamasse gli anni ottanta/novanta anche in questo. Poi abbiamo avuto un po' di discussioni perché la prima copertina era diversa, sembrava più una copertina da narrativa molto "soft", elegante. Quindi alla copertina definitiva ci siamo arrivati con qualche mediazione, un po' alla volta.
Però alla fine sono contento perché è d'impatto e secondo me comunica quello che c'è dentro. C'è drammaticità, un po' di violenza.. insomma c'è il rosso ed il nero. Poi mi è piaciuto il gioco che si crea nella parte rossa del libro che può essere un incendio visto da una montagnola oppure può essere un teschio, che a seconda di come lo guardi cambia.
-fine intervista-
Vi giuro, da quando ho scoperto il doppio disegno della copertina, non riesco più a vedere il fumo, ma solo l'immagine del teschio. Spero che l'intervista vi sia piaciuta e che vi abbia messo curiositò rispetto a questo romanzo. Cercherò di leggerlo il prima possibile in modo da farvi anche la recensione ^^
-fine intervista-
Vi giuro, da quando ho scoperto il doppio disegno della copertina, non riesco più a vedere il fumo, ma solo l'immagine del teschio. Spero che l'intervista vi sia piaciuta e che vi abbia messo curiositò rispetto a questo romanzo. Cercherò di leggerlo il prima possibile in modo da farvi anche la recensione ^^
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