Vi è piaciuta la recensione di "Berlin - I fuochi di Tegel"? Bene, ora scopriremo qualcosina in più sul libro e su uno dei suoi autori, ovvero Fabio Geda, che ho intervistato in occasione di Mare di Libri.
Pronti?
DOMANDA - Per iniziare ti volevo chiedere com'è stato il tuo cammino nel mondo dell'editoria? É stato un percorso facile o hai incontrato qualche difficoltà?
RISPOSTA - Il mio percorso nell'editoria è stato paradossalmente semplice. Ho cercato di pubblicare il mio primo romanzo quando avevo già 34 anni, dopo almeno 16-17 anni in cui ho provato a scrivere, quando mi è sembrato di avere tra le mani un romanzo che avesse senso pubblicare. Nel senso che secondo me, una delle cose che uno scrittore deve saper fare è leggersi. Se uno non sa leggere e valutare ciò che ha scritto è davvero una strada in salita. Io questa capacità mi pare di averla sempre avuta, nel senso che ho provato a scrivere un sacco di cose intorno ai 20-25 anni e quando rileggevo le pagine che avevo scritto, riuscivo a rendermi conto che quello che avevo scritto non valeva, che era una scopiazzatura da autori che avevo amato, aveva una scrittura incoerente o che delle scene erano banali. Quindi poi abbandonavo la storia che stavo scrivendo, però magari due mesi dopo la voglia di scrivere tornava e io quindi riprendevo la creazione di una storia. Finchè a 34 anni, un inverno ho iniziato a scrivere un romanzo e l'ho finito. Era la prima volta che portavo a termine un romanzo e rileggendolo dopo un po' ho pensato "Non è un capolavoro, forse però questa cosa che ho creato, una piccola dignità ce l'ha". Per la prima volta ho pensato di aver scritto qualcosa di buono e quindi l'ho mandato a delle case editrici. Alcune mi hanno risposto di no, alcune non mi hanno proprio risposto, ma due piccole, ma molto belle case editrici mi hanno risposto positivamente. Da un libro ne ho scritto un secondo, poi un terzo che è "Nel mare ci sono i coccodrilli", che poi è il libro che ha avuto un'enorme diffusione e che mi ha permesso di fare questo mestiere.
D - Invece, scrivere a quattro mani con Marco Magnone per Berlin com'è stato?
R - É stata un'esperienza straordinaria che ripeterei, ma lasciandomi comunque spazio per i miei romanzi e le mie idee senza un'altra mente creativa.
Berlin è una saga di sei romanzi che mi spaventava portare avanti da solo. Ho cercato quindi qualcuno con cui poter lavorare. Conoscevo Marco e avevo l'impressione che con lui ci fosse una buona sinergia, e così è stato.
Come abbiamo lavorato è molto semplice. Innanzitutto abbiamo deciso la storia, che è la parte che si crea assieme e poi uno di noi scriveva una parte della storia.
D - Qui a Mare di Libri, hai tenuto un paio di incontri da GDR, sei appassionato di questo tipo di giochi? Lo chiedo perché io ne ho provati parecchi di giochi di ruolo.
R - In realtà no, non sono un appassionato di gioco di ruolo e non ho mai giocato a Dungeons & Dragons, però mi ha sempre affascinato. Mi ha sempre affascinato il meccanismo perché si tratta di un meccanismo narrativo. Quando questi ragazzi di Genova ci hanno contattato e ci hanno comunicato che avevano studiato Berlin ed ideato un gioco di ruolo basato sul romanzo ho pensato che è stato davvero "una ficata". Con Marco abbiamo quindi deciso di abbracciare questa opportunità e oggi è stata la prima volta che tecnicamente ho giocato di ruolo ed è stato bellissimo.
D - Passando invece alle domande su Berlin, com'è nata la storia e perché la decisione di ambientarlo a Berlino e in quel periodo storico (1978)?
R - Tutto nasce dall'archetipo della narrativa per ragazzi che è il mondo senza adulti, e fra tutti i libri che utilizzano questo archetipo il mio libro preferito e anche di Marco, è "Il signore delle mosche" di Golding. "Il signore delle mosche" è ambientato su un'isola in mezzo all'Oceano Pacifico e anche noi abbiamo voluto cercare un'isola, ma un'isola urbana. La prima isola che ci è venuta in mente è stata Berlino ovest dal '61 all '89. Berlino ovest circondata dal Muro di Berlino che ha di fatto reso quella parte della città un'isola indipendente che galleggiava nel grande oceano della Germania est.
Abbiamo deciso di ambientare la storia negli anni '70 perché ci faceva piacere che i ragazzi avessero ascoltato un determinato tipo di musica, oppure che avessero assistito ai mondiali di calcio che nel 1974 si sono tenuti in Germania e vinti dalla Germania stessa. Ci siamo detti che fine anni '70 era il periodo giusto per ambientare la nostra storia.
D - Una mia personale curiosità: uno di voi due è stato scout? Nel libro c'è un gioco che praticano i ragazzi di Gropiusstadt che si chiama "Battaglia", ma in realtà è il classico gioco scout "Roverino".
R - Io ho fatto scoutismo per anni e c'è molto di questa mia esperienza in Berlin. Ci sono i ragazzi che di fatto vivono come se fossero dei reparti e che vanno in giro per Berlino. Non sono divisi in squadriglie ma poco ci manca e molto di ciò che fanno è quello che si fa durante la vita di reparto.
D - Come mai la scelta di non avere un'unica voce narrante, ma più punti di vista che si susseguono durante il romanzo?
R - "Berlin" vuole essere un romanzo corale. Non volevamo avere il classico singolo eroe attorno alle cui gesta gira la storia. Si tratta di una storia corale perché ci interessava la pluralità dei punti di vista, e la diversità delle esperienze di vita. L'idea è: Gli adulti scompaiono. Vediamo come, a seconda delle storie personali, ragazzi molto diversi riescono ad affrontare la situazione.
D - *Domanda spoiler* Alla fine del primo romanzo sono rimasta un po' spiazzata dalla morte di uno dei personaggi. Come mai questa scelta?
R - Perché nel momento in cui tu detti le regole del mondo, sei il primo a doverle rispettare. Quindi in modo coerente noi abbiamo stabilito che attorno ai 18-19 anni, il virus esce dalla fase di latenza e uccide il corpo ospite. Sven era in quell'età, si stava ammalando e ci sembrava molto d'impatto farlo morire alla fine del primo romanzo. Sven per molti in effetti era diventato un personaggio leader del libro e far morire quello che tu pensi essere il protagonista della storia è decisamente d'impatto.
Io mi ero immaginata che potesse invece essere quello che la scampa. I sintomi c'erano e si vedevano ma fino all'ultimo ho sperato che si salvasse.
Ma infatti l'idea era proprio stupire con questo avvenimento. Serve anche a mettere sul chi va là il lettore, nel senso che da quel momento il lettore sa che tutto può succedere. Uno si aspetta che lo scrittore rispetti il patto di non far morire un personaggio principale subito, cosa che invece qui succede, quindi a quel punto tutto è possibile.
D - C'è un personaggio che rispecchia te o Marco all'interno della saga?
R - No, noi siamo frantumati in tanti personaggi. Noi amiamo dire che siamo affezionati a quei personaggi che si modificano tanto all'interno della storia quelli che sanno mettersi in gioco.
D - É stato più difficile scrivere una saga fantasy/distopica o un romanzo più impegnato come gli altri che hai scritto?
R - Sono due difficoltà molto diverse. Per me la difficoltà della saga è stata la lunghezza del progetto. Io ho la tendenza ad annoiarmi e non penso che scriverò mai più una saga in vita mia, è stata una bellissima esperienza e sono contento di averla scritta ma io preferisco il singolo romanzo. Mi piace inventare una storia, starci dentro 5-6 mesi e poi il libro esce e io posso avere già in mente un'altra storia. Una storia con altri personaggi, un'altra ambientazione, un'altra lingua... Stare dentro per più di mille pagine in un'unica storia pèr 4-5 anni, è stato per me un grosso impegno.
Il romanzo singolo, e ancor di più un racconto è che hai meno spazio per poterti giocare tutto.
Con Berlin abbiamo potuto far crescere i personaggi, infatti tutti ci dicono che gli ultimi tre libri della saga sono i più belli, in particolare l'ultimo, e a me piace tantissimo questa cosa. Molto spesso invece si incontrano storie che partono bene e poi si chiudono a fatica. Questo vuol dire che io e Marco siamo cresciuti insieme alla storia.
Sono contentissima di aver realizzato questa intervista, ringrazio tantissimo Fabio per aver soddisfatto alcune mie curiosità su Berlin e spero di leggere qualcos'altro di suo prossimamente.
I miei post su Mare di Libri finiscono qui e non vedo l'ora di parteciparvi anche l'anno prossimo perché è davvero un festival molto interessante e con ospiti fantastici e scelti accuratamente. Colgo l'occasione per ringraziare tutto lo staff sempre molto cortese e disponibile e che, ancora una volta mi preme dirlo, è organizzato per la maggior parte da ragazzi. Tanto di cappello a questi giovanissimi che si sono davvero impegnati nella realizzazione di questo festival. Salvo imprevisti ci si vede a Mare di Libri 2019!
Con voi lettori del blog invece, l'appuntamento al prossimo post con la recensione "Petrademone", il cui autore era presente alla manifestazione (vedi post precedente QUI).
D - Invece, scrivere a quattro mani con Marco Magnone per Berlin com'è stato?
R - É stata un'esperienza straordinaria che ripeterei, ma lasciandomi comunque spazio per i miei romanzi e le mie idee senza un'altra mente creativa.
Berlin è una saga di sei romanzi che mi spaventava portare avanti da solo. Ho cercato quindi qualcuno con cui poter lavorare. Conoscevo Marco e avevo l'impressione che con lui ci fosse una buona sinergia, e così è stato.
Come abbiamo lavorato è molto semplice. Innanzitutto abbiamo deciso la storia, che è la parte che si crea assieme e poi uno di noi scriveva una parte della storia.
D - Qui a Mare di Libri, hai tenuto un paio di incontri da GDR, sei appassionato di questo tipo di giochi? Lo chiedo perché io ne ho provati parecchi di giochi di ruolo.
R - In realtà no, non sono un appassionato di gioco di ruolo e non ho mai giocato a Dungeons & Dragons, però mi ha sempre affascinato. Mi ha sempre affascinato il meccanismo perché si tratta di un meccanismo narrativo. Quando questi ragazzi di Genova ci hanno contattato e ci hanno comunicato che avevano studiato Berlin ed ideato un gioco di ruolo basato sul romanzo ho pensato che è stato davvero "una ficata". Con Marco abbiamo quindi deciso di abbracciare questa opportunità e oggi è stata la prima volta che tecnicamente ho giocato di ruolo ed è stato bellissimo.
D - Passando invece alle domande su Berlin, com'è nata la storia e perché la decisione di ambientarlo a Berlino e in quel periodo storico (1978)?
R - Tutto nasce dall'archetipo della narrativa per ragazzi che è il mondo senza adulti, e fra tutti i libri che utilizzano questo archetipo il mio libro preferito e anche di Marco, è "Il signore delle mosche" di Golding. "Il signore delle mosche" è ambientato su un'isola in mezzo all'Oceano Pacifico e anche noi abbiamo voluto cercare un'isola, ma un'isola urbana. La prima isola che ci è venuta in mente è stata Berlino ovest dal '61 all '89. Berlino ovest circondata dal Muro di Berlino che ha di fatto reso quella parte della città un'isola indipendente che galleggiava nel grande oceano della Germania est.
Abbiamo deciso di ambientare la storia negli anni '70 perché ci faceva piacere che i ragazzi avessero ascoltato un determinato tipo di musica, oppure che avessero assistito ai mondiali di calcio che nel 1974 si sono tenuti in Germania e vinti dalla Germania stessa. Ci siamo detti che fine anni '70 era il periodo giusto per ambientare la nostra storia.
D - Una mia personale curiosità: uno di voi due è stato scout? Nel libro c'è un gioco che praticano i ragazzi di Gropiusstadt che si chiama "Battaglia", ma in realtà è il classico gioco scout "Roverino".
R - Io ho fatto scoutismo per anni e c'è molto di questa mia esperienza in Berlin. Ci sono i ragazzi che di fatto vivono come se fossero dei reparti e che vanno in giro per Berlino. Non sono divisi in squadriglie ma poco ci manca e molto di ciò che fanno è quello che si fa durante la vita di reparto.
D - Come mai la scelta di non avere un'unica voce narrante, ma più punti di vista che si susseguono durante il romanzo?
R - "Berlin" vuole essere un romanzo corale. Non volevamo avere il classico singolo eroe attorno alle cui gesta gira la storia. Si tratta di una storia corale perché ci interessava la pluralità dei punti di vista, e la diversità delle esperienze di vita. L'idea è: Gli adulti scompaiono. Vediamo come, a seconda delle storie personali, ragazzi molto diversi riescono ad affrontare la situazione.
D - *Domanda spoiler* Alla fine del primo romanzo sono rimasta un po' spiazzata dalla morte di uno dei personaggi. Come mai questa scelta?
R - Perché nel momento in cui tu detti le regole del mondo, sei il primo a doverle rispettare. Quindi in modo coerente noi abbiamo stabilito che attorno ai 18-19 anni, il virus esce dalla fase di latenza e uccide il corpo ospite. Sven era in quell'età, si stava ammalando e ci sembrava molto d'impatto farlo morire alla fine del primo romanzo. Sven per molti in effetti era diventato un personaggio leader del libro e far morire quello che tu pensi essere il protagonista della storia è decisamente d'impatto.
Io mi ero immaginata che potesse invece essere quello che la scampa. I sintomi c'erano e si vedevano ma fino all'ultimo ho sperato che si salvasse.
Ma infatti l'idea era proprio stupire con questo avvenimento. Serve anche a mettere sul chi va là il lettore, nel senso che da quel momento il lettore sa che tutto può succedere. Uno si aspetta che lo scrittore rispetti il patto di non far morire un personaggio principale subito, cosa che invece qui succede, quindi a quel punto tutto è possibile.
D - C'è un personaggio che rispecchia te o Marco all'interno della saga?
R - No, noi siamo frantumati in tanti personaggi. Noi amiamo dire che siamo affezionati a quei personaggi che si modificano tanto all'interno della storia quelli che sanno mettersi in gioco.
D - É stato più difficile scrivere una saga fantasy/distopica o un romanzo più impegnato come gli altri che hai scritto?
R - Sono due difficoltà molto diverse. Per me la difficoltà della saga è stata la lunghezza del progetto. Io ho la tendenza ad annoiarmi e non penso che scriverò mai più una saga in vita mia, è stata una bellissima esperienza e sono contento di averla scritta ma io preferisco il singolo romanzo. Mi piace inventare una storia, starci dentro 5-6 mesi e poi il libro esce e io posso avere già in mente un'altra storia. Una storia con altri personaggi, un'altra ambientazione, un'altra lingua... Stare dentro per più di mille pagine in un'unica storia pèr 4-5 anni, è stato per me un grosso impegno.
Il romanzo singolo, e ancor di più un racconto è che hai meno spazio per poterti giocare tutto.
Con Berlin abbiamo potuto far crescere i personaggi, infatti tutti ci dicono che gli ultimi tre libri della saga sono i più belli, in particolare l'ultimo, e a me piace tantissimo questa cosa. Molto spesso invece si incontrano storie che partono bene e poi si chiudono a fatica. Questo vuol dire che io e Marco siamo cresciuti insieme alla storia.
Sono contentissima di aver realizzato questa intervista, ringrazio tantissimo Fabio per aver soddisfatto alcune mie curiosità su Berlin e spero di leggere qualcos'altro di suo prossimamente.
I miei post su Mare di Libri finiscono qui e non vedo l'ora di parteciparvi anche l'anno prossimo perché è davvero un festival molto interessante e con ospiti fantastici e scelti accuratamente. Colgo l'occasione per ringraziare tutto lo staff sempre molto cortese e disponibile e che, ancora una volta mi preme dirlo, è organizzato per la maggior parte da ragazzi. Tanto di cappello a questi giovanissimi che si sono davvero impegnati nella realizzazione di questo festival. Salvo imprevisti ci si vede a Mare di Libri 2019!
Con voi lettori del blog invece, l'appuntamento al prossimo post con la recensione "Petrademone", il cui autore era presente alla manifestazione (vedi post precedente QUI).
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